Quaderno Viggiutese – Il Casato BUTTI

In occasione del 150° anniversario della nascita dell’insigne scultore Enrico Butti, nato a Viggiù il 3 aprile 1847, Gibi Franzi ha offerto agli studiosi una ricerca sul casato del grande scultore Viggiutese .

 In questo Quaderno si parlerà in particolare di:
Butti Guido (1736-1788)
Butti Gerolamo (1766-1843)
Butti Guido (1805-1878)
Butti Stefano (1807-1880)

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Il Casato BUTTI di Viggiù.

Attualmente, in Viggiù, i Butti della casata che porta questo cognome si possono distinguere in tre gruppi: quello dei Galli a cui appartengono quattro noti scultori , quello proveniente da Vergosa Capiago e quello da definire.

Autori precedenti che parlarono o scrissero di Viggiù indicarono i Butti come una casata, il cui nome, sia stata una alterazione dei Buzzi e da essa discendenti.

Per quanto riguarda il primo dei gruppi su accennato, più consistente e interessante da un punto di vista artistico, al lume delle ricerche odierne, condotte in modo completo e sistematico, su tutte le casate viggiutesi, a partire dal 1564 fino all’inizio del ventesimo secolo, prendendo in esame i dati raccolti nell’archivio parrocchiale di Viggiù, completati da documenti giacenti presso l’archivio della Curia Arcivescovile di Milano e dell’archivio di stato di Varese, permettono di affermare che detti Butti derivino dagli Galli e precisamente dai Galli del Regetta che già appaiono nei documenti parrocchiali della seconda metà del 1500.

 BUTTI dei Galli


Il capostipite -11- Butti Bernardino fu Gerolamo 
 

  • -è detto Butti nel 1698 quando sposa e nel 1699 alla nascita del primo figlio 
    -è detto Butti del Regetta nel 1702 – 1705 – 1709 alla nascita degli altri tre figli
    -è detto Butti nel 1712 alla nascita del quinto figlio 
    -è detto Galli Butti nel 1749 alla sua morte 

La prima figlia -12- Maria Caterina 
 

  • -è detto Butti nel 1699 alla nascita e nel 1737 quando sposa 
    -è invece detto Galli nel 1785 alla sua morte  

Il secondo figlio -13- Gerolamo 
 

  • -è detto Butti del Regetta nel 1702 alla nascita 
    -è detto Butti nel 1733 quando è compare 
    -è detto Galli nel 1734 quando sposa 
    -è detto Galli detto Buti nel 1736 alla nascita del primo figlio
    -è detto Butti nel 1739 alla nascita del secondo figlio 
    -è detto Buti nel 1744 alla sua morte 

Il terzo figlio -14- Carlo Gio Antonio
 

  • -è detto Butti del Regetta nel 1705 alla nascita
    -è detto Butti nel 1710 alla sua morte  

Il quarto figlio -15- Angelo Maria 
 

  • -è detto Butti del Regetta del 1709 alla nascita 
    -è detto Butti nel 1712 alla sua morte 

La quinta figlia -16- Giovanna 
 

  • -è detta Butti del 1712 alla nascita 
    -è detta Butti del Regetta nel 1730 quando è comare 
    -è detta Galli nel 1737 quando sposa e nel 1737 e 1742 quando è madre 
    -è detta Butti nel 1739 – 1747 – 1750 quando è madre
    -è detta Butti dei Galli nel 1746 quando è madre
    -è detta Galli Regetta nel 1748 e 1753 quando è madre 

Dei figli di Gerolamo -18- Guido 
 

  • -è detto Galli detto Butti nel 1736 alla nascita, nel 1758 quando sposa, nel 1760 quando è padre 
    -è detto Galli nel 1765 quando è testimonio 
    -è detto Galli detto Buti nel 1762 e 1763 quando è padre 
    -dal 1766 in poi è detto solo Butti

 
Se osserviamo le registrazioni del catasto di Maria Teresa d’Austria troviamo indicati: 
-Nel catastino con passaggi del 1760 – 1768
 

  • – Butti Galli Guido – 16 –
    – Butti Galli (in) Longhi Maria Caterina – 12 –

-Nella rubrica dei possessori a tutto il secondo bimestre 1844
 

  • – Butti Bernardo fu Gerolamo – 32 –
    – Butti Giuseppe fu Guido – 24 –
    – Butti Guido fu Stefano – 33 –
    – Butti Gatti Bernardo fu Gerolamo – 32 – errore Gatti invece di Galli 
    – Butti Galli Guido Antonio fu Stefano – 33 –
    – Butti Galli Stefano fu Gerolamo – 34 –
    – Butti Galli Stefano fu Guido – 26 –
    – Butti Galli Bernardo fu Gerolamo – 32 –

 
Se osserviamo lo stato d’anime del 1762 alla famiglia 211 troviamo Guido Antonio Gallo detto Buti – 18 – e nel ruolo delle tasse del comune di Viggiù del 1817:
– Butti Gerolamo – Butti Giuseppe – Butti Antonio – Butti Bernardino.
Con quanto sopra esposto il fatto che i Butti derivino dai Galli e siano prima detti Buti e poi Butti è largamente documentato.
È un caso tipico in cui il soprannome si affianca al cognome primitivo e lo sostituisca poi per intero.
Resta ora da vedere da quali Galli possono derivare. Le annotazioni dicono “Galli Regetta”, ma se si scorrono le registrazioni, la nascita del capostipite Bernardino di Gerolamo, nato attorno al 1669, non appare. L’ unico Galli Gerolamo che può essergli padre il – 314 – Gerolamo della Ferratina, sposando Orsola Muttoni ha figli nel 1657, 1658, 1660, 1663, 1666, 1670 anno in cui poi muore. Può essere che il Bernardino sia suo figlio nato nell’intervallo fra il 1666 e il 1670 e che non sia stato erroneamente registrato; può anche darsi che Bernardino sia nato fuori Viggiù nel periodo in cui il padre si sia allontanato da Viggiù per lavoro.
L’essere della Ferratina o del Regetta non è poi tanto distintivo in quanto le due indicazioni penso derivino dai Galli fabbri ferrai di cui un Pietro Maria, nato nel 1514, è detto Ferato mentre Tameo che è padre nel 1565 è detto Regetta, da “règia”, termine dialettale che sta ad indicare una sorta di sottile barra in ferro atto a legare saldamente parti di ogni specie in luogo della corda o spago.


Cliccando QUI è visibile l’albero genealogico dei Butti dei Galli
Cliccando qui è visibile l’albero genealogico dei Butti da Vergosa
Cliccando qui sono visibili i BUTTI da definire



18 Butti Guido
 
Nato a Viggiù il 5 novembre 1736 da Gerolamo e Antonia Albuzzi; sposa il 25 febbraio 1758 Maria Lucia Buzzi Leone del Sartò. Morto a Viggiù il 21 ottobre 1778 a 52 anni caduto da una pianta.
Le uniche notizie sulla sua attività riguardano i lavori al palazzo Estense di Varese:
– 6 aprile 1767 – a Pedrotti Giobatta… per le spalle della porta latere della fabbrica L. 6 s.12 d.6 ma chi tagliò e pose in opera li sassi fu lo scultore Guido Buti dei Galli da Viggiù .
– 8 giugno 1769 – al Buti tagliapietra per il camino grande del salone, 6 camini e tre soglie somministrati L.603 d.15.
Bibliografia: Rivista Società Storica Varesina -IX
 
23 Butti Gerolamo
Nato a Viggiù il 1 settembre 1766 da Guido e da Maria Lucia Buti del Sartò, quarto di dieci figli, sposa a Viggiù il 3 maggio 1794 Laura Argenti (morta nel 1810) e successivamente Caterina Bagutti. Muore a Viggiù il 16 gennaio 1843.
Fu decoratore e scultore e il suo nome è tra i viggiutesi che lavoravano all’Arco della Pace in Milano.
La sua attività presso il Duomo di Milano è documentata nel VI volume degli annali della Veneranda Fabbrica dal 1810 al 1813 come segue:
Pag. 275 – 1810 – 28 giugno a Gerolamo Butti L. 840 per 2 statuette
Pag. 276 – 1810 – 1 settembre a Gerolamo Butti L. 1087 per 3 statuette
Pag. 277 – 1810 – 23 ottobre a Gerolamo Butti L. 1215 per 4 statuette
10 novembre a Gerolamo Butti L. 610 per 2 statuette
Pag. 280 – 1811- 21 febbraio a Gerolamo Butti L. 536 per 2 statuette
10 aprile a Gerolamo Butti L. 1475 per 1 statua
Pag. 281 – 1811 – 11 maggio a Gerolamo Butti L. 205 a saldo per due statuette rappresentanti S.Eustachiano e S.Primino
Pag. 283 – 1811 – 21 settembre – allo scultore Gerolamo Butti L. 1620 per la statua di S.Feliciano (corrispondente alla statua 483 sulla guglia – LXI- di 2° ordine citata dal Nebbia; la stessa guglia che in “Duomo di Milano” – Cassa Risp. Prov. Lombarde- vol. II del 1973 a pag. 172 porta l’indicazione “g60” è corredata da “rifacimento di statua ottocentesca – Statuine con figure femminili velate: tutte (?) sec. XIX – n.d.r.)
Pag. 284 – 1811 – 26 novembre – allo scultore Gerolamo Butti L. 1605 a saldo di una statua per guglia rappresentante S.Sukias
Pag. 287 – 1812 – 25 luglio – allo scultore Gerolamo Butti L. 610 per le due statuette di S.Anselmo e S.Giovanni. Allo stesso L. 710 per una statua rappresentante San Pergentino.
Pag. 289 – 1812 – 19 dicembre – a Gerolamo Butti L. 469 per due statuette di S.Pio e S.Innocenzo e L. 1365 a saldo delle due statue di S.Cassio e S.Omobono
Pag. 292 – 1813 – 17 novembre – a Gerolamo Buzzi lire 910 per le statuette di S.Errante e S.Filomino
33 Butti Guido
Nato a Viggiù il 3 aprile1805 da Stefano e da Annunciata Appiani di Porto Ceresio. Ivi morì, celibe, l’8 agosto 1878 a 73 anni.
Frequentò Brera con Pompeo Marchesi e fu allievo del Prof. Gaetano Monti ed ivi ebbe due volte il Gran Premio nei concorsi di scultura. Suo è il bassorilievo “Alceste morente raccomanda i suoi due figli ad Admeto” che si trova alla Galleria d’Arte Moderna a Milano.
Fu a Roma, dove dimorando parecchi anni, lavorando in diversi studi di scultori si perfezionò come scultore decorativo e architetto. In seguito seppe esprimersi con elegante maestà di linee.
Verso il 1840 ritornò a Milano, fu a Viggiù e di quell’epoca sono il “San Giovanni Battista” a sinistra dell’altare maggiore della chiesa della Madonnina a Viggiù e il bassorilievo in marmo, a lunetta, “Fuga in Egitto” nella navata di sinistra della Parrocchiale di Viggiù.
I fatti epici del 1848 lo trovano pronto ad ogni chiamata, ma, tramontata l’aurora di libertà delle Cinque Giornate, molestato da improvvise e frequenti visite della polizia austriaca, decide di partire per l’America. Fu a Washington dal 1848 al 1869 dove svolse una larga attività con decorazioni, bassorilievi e statue per il Palazzo del Governo, per le sale dell’Assemblea Legislativa e molti altri pubblici edifici.
Rientrato, benestante, Viggiù alle notizie delle vittorie dell’dipendenza, accolto con gioia, trova, non so se per colpa o per incuria, che i campi che aveva comprato prima dell’andata in America furono venduti dall’esattore per pagarsi alcune annualità di imposte arretrate. Vistosi umiliato si ritirò a Porto Ceresio dove comperò fondi e case ed andò ad abitare con la sorellastra.
Nel suo testamento fu prodigo per Porto Ceresio e per Viggiù, e scrisse: “La mia lunga assenza non scemò la simpatia per il mio paese natale”. Lega al comune di Viggiù la rendita di annue lire 1500 perché vada favore di una scuola di grado superiore (4^ e 5^ elementare).
Nell’interno del fabbricato delle scuole elementari comunali (via Roma) vi era una lapide con medaglione, ora inspiegabilmente scomparsa, con la seguente epigrafe:


Guido Butti
Distinto scultore di Viggiù
Che a vantaggio
Dell’istruzione elementare superiore
LEGAVA L.1500 di rendita.
Il comune riconoscente
Nell’anno 1878


Bibliografia:
Zanzi L. -1879 – Il mio paese – 1° – pag. 61-70
Pellegatta S. – 1894- Guida Storico Artistica descrittiva di Viggiù – pag. 73
Thieme Becher – Kunster Lexicon – V°- pag. 306
Dizionario Bibliografico degli Italiani – pag. 616
Bessone – Vita scultori, pittori architetti
Caravatti F. – 1925 – Viggiù nella storia e nell’arte – pag. 102 e 143
Rivista Viggiutese – 1939- n. 132 – Caravatti F. Artisti Viggiutesi che lavorarono all’Arco dela Pace.
 
34 Butti Stefano
 
 Nato a Viggiù il 28 febbraio 1807 da Gerolamo e da Laura Argenti, seguì l’orma paterna e col padre lavorò a Milano all’Arco della Pace.
La sua presenza a Milano data dal 1826 ed è documentata dalle visite a Felice Argenti, carbonaro, che, malato, era all’albergo ” Bella Venezia ” dall’ottobre del 1829 all’aprile del 1830 e dall’interrogatorio, subito il 15 aprile 1831, nell’inquisizione contro l’Argenti, suo amico e parente dal lato materno, accusato d’alto tradimento. Ecco il testo dell’interrogatorio dalla pubblicazione del rag. Caravatti F. in occasione del centenario del processo a Felice Argenti:
“Sono Butti Stefano -egli risponde- d’anni 23, del vivente Gerolamo e fu Laura Argenti, nativo di Viggiù. Da cinque anni abito a Milano, in Santa Redegonda,. Sono celibe, scultore nello studio di Giacomo Buzzi Leone, in Santa Prassede, cattolico. Conosco l’Albinola perché dello stesso paese e ci siamo trovati insieme fino da ragazzi; l’ho veduto circa due mesi e mezzo fa, in occasione che egli tornava da Genova a Viggiù si era fermato qualche giorno a Milano. Ci siamo veduti molto di frequente, passavamo gran parte delle giornate insieme, quasi sempre a pranzo all’Osteria del Popolo, al Leon d’Oro in Santa Redegonda. “
“A domanda, risponde che l’Albinola gli disse che fu presso suo zio a Malaga e null’altro che vide l’estate dello scorso anno a Genova Felice Argenti che stava bene.
D. – Se l’Albinola non gli abbia detto altro di più preciso intorno all’Argenti.
R. – Non mi disse altro che se non che mi riferì avergli l’Argenti parlato di un ritratto che gli avevo modellato in creta e che egli sperava di farmi eseguire in marmo.
D. – Come sia, Esso Esaminando, venuto in pensiero di modellare il ritratto dell’Argenti e quale speranza potesse questi avere di farlo eseguire in marmo.
R. – L’Argenti era l’anno scorso ammalato alla “Bella Venezia” e quindi essendo andato a visitarlo egli mi disse di modellargli quel ritratto, giacché occupando, com’era certo, il posto di Console generale del Brasile a Livorno, me lo avrebbe fatto eseguire in marmo. Domanda se l’Albinola gli tenesse qualche discorso in materia politica.
R. – Non mi ha detto una parola in proposito.
D. – Se ha venduto qualche persona coll’Albinola.
R. – L’Albinola quando non era con me, era solo; non l’ho mai veduto in compagnia con altri.
D. – Se sappia dove si trovi l’Albinola.
R. – La di lui madre fu qui sette o otto giorni fa, mi disse che era detenuto presso l’I. R. Delegazione Generale di Polizia.
D. – Se l’Argenti egli abbia mai parlato di politica.
R. – Risponde negativamente. “
 
Il busto dell’irrequieto cospiratore fu poi tradotto in gesso (ora al museo degli artisti viggiutesi) ed eseguito in marmo (ora nel salone di Villa Borromeo a Viggiù).
Successivamente fu a Torino dal 1845 al 1862 dove ebbe studio alla corte dei Savoia. Il Zanzi, nel suo volume ” Il mio paese “, ricorda di confidenziali colloqui dello Stefano Butti con Carlo Alberto, il quale aveva voluto che nelle sale della Reggia venissero pubblicamente esposte parecchie sue opere. E fu il duca di Genova che gli commissionò il monumento in marmo al Re Carlo Alberto per la villa di Agliè. E fu il Conte Benso di Cavour a donargli un elegante astuccio in oro con le cifre B. C. in piccoli brillanti.
Nel 1847 ebbe, da parte di Carlo Alberto a mezzo del marchese Spinola, commissione per una grandiosa opera in marmo e a lui fu lasciata la scelta del soggetto. Fu così che in tre anni portò a termine tre modelli di grandiosi gruppi con un gran numero di figure e cioè: il Giudizio Finale, la Strage degli Innocenti e il Diluvio Universale.
Morto Carlo Alberto, nel 1850, i modelli collocati sotto il portico delle regie scuderie furono esaminate dal successore Re Vittorio Emanuele II, il quale, con lettera del 26 dicembre 1850, affidò al Butti l’esecuzione in marmo del gruppo “Giudizio Finale” al prezzo presunto di lire 250 mila. Al che il Butti, attraverso il Tantardini, commissionario di marmi, ordinò a Carrara l’enorme massa di marmo. Essendo sorte contestazioni, in data 6 ottobre 1851, fu offerta al Butti una transazione sulla fornitura e cioè senza dar seguito alla esecuzione in marmo del modello del Giudizio Finale i lavori e le spese del Butti sarebbero compensati col pagamento di una somma che una commissione avrebbe valutato opportuna. La transazione fu accettata il 23 ottobre 1851 in considerazione della massa di lavoro cui era già impegnato. Ma la definizione della somma da corrispondersi non fu definita che dopo una causa alla Corte d’Appello di Torino del 26 luglio 1861.
Dagli allegati a detta causa risulta che il gruppo in scagliola del Giudizio Finale fu esposto nel 1857 alla mostra di Belle Arti a Brera e che il momento al generale Pepe, dal 1858 ai giardini pubblici di Torino, fu ordinato direttamente dalla vedova del generale a Stefano Butti per un prezzo convenuto di lire 22 mila. La statua entusismò i torinesi che ne danno atto negli articoli di plauso apparse sui giornali dell’epoca Il Diritto, L’Unione, L’Opinione.
Con il 1861 cominciarono, per il Butti, disgusti, controversie, opposizioni al che lo scultore abbandonò studio e scalpello e tornò al paese nativo.
Fu consigliere comunale nell’amministrazione del sindaco Canzani Gabriele (1864 – 1866) e fu sindaco dal novembre del 1866 al marzo del 1869.
Viggiù di lui possiede, oltre al già citato busto del felice Argenti:
– la statua di S. Apollonia nella chiesa della Madonna della Croce
– la statua di Maria Santissima sull’altare maggiore della chiesa della Madonnina
– Il monumento funebre ad Antonio Buzzi Quattrino nella Chiesa della Madonna della Croce.
La sua attività torinese fu molto produttiva per quanto ancora poco riscoperta. Si ricordano tra l’altro:
– Il gruppo “Salus Infirmorum” per i Savoia
– Il bassorilievo “San Carlo e Emanuele Filiberto sul portale d’ingresso della chiesa di S. Carlo in Torino
– Il monumento a Cecconi e quello a Tosti, l’eroe della Subalpina.
– Nel Duomo di Vercelli – Prona con i 12 Apostoli: i 4 centrali sono sua opera.
 
Morì vedovo a Viggiù il 28 marzo 1880 a 73 anni.
 
36 Butti Enrico
Tratteggiare una biografia dello scultore dopo tanti che mi hanno preceduto, tra cui grandi scrittori, giornalisti, artisti e valenti critici d’arte, è cosa ardua. Sceglierò da essi le indicazioni che mi sono apparse più vicine al suo modo di vivere.
Enrico Butti di Bernardo e Anna Maria Giudici nacque a Viggiù il 3 aprile 1847.
Dal padre e dagli artigiani viggiutesi apprese i primi insegnamenti che (vedi Cronaca Prealpina Illustrata del 2 ottobre 1927) ” avendo il padre venduto certi mascheroni e altri lavori del figliolo gli regalò quattro lire – Egli senza dir motto partì per Milano. Ivi giunto la sera alle 11 i questurini lo raccolsero piangente sui gradini di San Sempliciano dove si era accasciato non essendo riuscito a trovare la bottega del suo compaesano a cui il padre lo aveva indirizzato “.
Entrò quattordicenne come garzone ornatista nella bottega del milanese G.B.Bosi e Franco Pelitti e dice l’Ongaro in appunti inediti: ” il bisogno di vivere e di far vivere il padre cronico e la madre lo forzava al crudo lavoro esecutivo di guadagno e malgrado egli dopo gli studi dell’ornato alla scuola degli operai, frequentasse le classi artistiche del Brera (che potè faticosamente e a prezzo di sacrifici superare poiché non tutto il suo tempo poteva dedicare alle lezioni dovendone fare buona riserva al bisogno del pane) l’ambiente dove viveva era sempre quello marmistico, artigiano e per di peggio impoverito dalla concezione di un manierismo esecutivo accettato anche dagli artisti del momento secondo cui il virtuosismo dello scalpello e il tormento in minuscole cianfrusaglie esecutive era il meglio del sapere scultoreo.
Fu uno dei fondatori della ” Famiglia Artistica ” firmatario, con Bignami, della circolare del luglio del 1872 che portò all’inizio delle attività dell’associazione col primo gennaio 1873. Partecipò attivamente alla ” scapigliatura milanese ” e fu attivo organizzatore della famosa ” indisposizione artistica ” voluta dalla famiglia artistica nel 1881 in opposizione critica alla prima Mostra Nazionale di Milano.
Ed ecco come l’Ongaro scrive della sua formazione artistica “in questa atmosfera egli, alunno di Brera alle classi inferiore di arte, tentò, per la sua smaniosa aspirazione di fare di suo alcune opere. Ma quando, ammesso a studiare alla sala delle statue, egli si trovò tra i calchi dei capolavori antichi in cui scorse tosto l’antitesi assoluta tra i pensamenti del suo momento la austera severità semplificatrice ebbe la sua crisi e infranti i modelli del Falconiere di Agiatezza Perduta, visse nell’ambito del pensiero e nei modi di espressione di grandiosità dignitosa degli antichi da cui poi mai si allontanò. Il suo “Caino” è, più che la superata deplorata “Eleonora d’Este “, il punto critico del suo sentire. Avrà nel sangue i disgustosi pensamenti marmistici da cui voleva, sentiva di dover, purgarsi e aveva forse ancora non del tutto assimilato la visione di come l’arte vera e grande doveva comprendersi.
Aveva nel non titubante, ma non ancora lucido, pensiero il senso di Schiller che ammirava perché lo scuoteva. Aveva bevuto con religiosa avidità le lezioni di anatomia e il “Caino” rendeva tutto ciò, compendiava concretato con la inesperienza del novizio che tenta e con la fremente ansia di chi prepara un saggio scolastico. Ben fece la commissione del premio canonica del 1878 ad assegnargli il premio e ben fece il consiglio disdicendolo e non assegnando premi ad alcuno. Ambedue i consessi avevano ragioni a iosa: la commissione giudicando l’opera dello scolaro ardente e audace, il consiglio giudicando secondo i canoni di un’arte severissima. Ma chi studi le opere immediatamente seguenti dell’artista (che però dovrà ancora lavorare da artigiano per altri e fu solo a 33 anni che poté rinunciare al guadagno come finitore presso vari scultori quali il Barzaghi e lo stesso suo maestro d’accademia il Magni) trovano tosto nel “Caino” il seme fecondo, il germe di poderose affermazioni da tutti acclamate “.
Al periodo della sua crisi artistica coincise una grande malattia che lo tenne tra vita e morte.
Ripresosi con l’esperienza delle lunghe meditazioni prese il volo. Dice il Caramel: ” Attratto da una plastica più essenziale, sobria e dalla tematica sociale e patriottica verso cui lo spinse l’esempio del napoletano D’Orsi e quello del conterraneo Vincenzo Vela, compagno d’accademia.
Inizia con l’ottavo decennio del secolo il periodo delle sue opere migliori
Dal 1880, morto lo zio paterno Stefano, per la sopravvenuta eredità, per un certo numero di anni ebbe i mezzi per superare le difficoltà dell’esistenza che si dedicò alla modellazione del vero, alla plasmatura del nudo alla composizione. Alcuni suoi lavori non uscirono mai da suo studio in via Monte Bello.
Distruggeva senza paura, senza pentimento, con eroismo prima di raggiungere l’espressione definitiva.
Fu l’unico artista a conseguire per tre volte il primo premio Principe Umberto ” alle triennali di Brera
– nel 1879 con l’Angelo dell’Evocazione
– nel 1897 con il Guerriero di Legnano
– nel 1906 con la Tregua Violata
Il “Minatore”, una delle sue opere più significative:
– nel 1888 fu esposto a Brera
– nel 1889 ebbe il ” Gran Prix ” all’esposizione mondiale di Parigi
– nel 1893 fu premiato a Budapest
– nel 1894 fu premiato a Vienna
Nel marzo del 1893 fu nominato professore di scultura a Brera, succedendo al Barzaghi, e tenne cattedra a tutto il 1913. In quel periodo fu a capo di molte commissioni artistiche. Negli ultimi anni di insegnamento, colto da bronchite cronica, si ritirò al paese nativo e sul pianoro di San Martino, che vide svettare il Guerriero di Legnano, nel 1897 eresse la sua casa e il suo laboratorio da cui usciranno, tra gli altri, l’Aratura, il monumento a Giuseppe Verdi e quelli dei caduti di Viggiù, Gallarate e Varese.
Rimasto vedovo nel 1892, dal 1906, gli fu compagna Virginia Sevesi, una sua ex modella di Brera, ma la situazione irregolare influì, col tempo, negativamente sulla loro unione .
Negli ultimi anni di sua vita creò la sua gipsoteca e si dedicò, dal 1927, a 80 anni, alla pittura dipingendo con colori vivaci diverse tele di carattere descrittivo e naturalistico.
La sagra artistica del 1927 in suo onore fu una ovazione unanime e la morte che lo colse 84enne a Viggiù il 21 gennaio 1932 non fu morte ma apoteosi.
La mostra artistica dei suoi allievi, del 1938, a Viggiù attorno alle sue opere, testimoniò la fede nei suoi insegnamenti che l’aleggiare costante del suo spirito.


 

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