Stemmario Viggiutese.

Nell’anno 2013, anniversario della nascita di Gibi Franzi, si è tenuta a Viggiù nei saloni della Villa Borromeo una mostra degli Stemmari Viggiutesi.

Introduzione

La presente mostra non vuol essere una ricerca di antiche nobiltà, ma mettere in evidenza l’evasione araldica di tanti artisti Viggiutesi che, legati da attività professionali all’abbellimento della Roma del manierismo e del barrocco, occuparono il loro tempo libero a continue migliorie delle case avite, personalizzandole.

Ed ecco sorgere, accanto agli scudi nobiliari di alcune famiglie notabili, le targhe che ornano tanti portali di accesso alle vecchie corti ed impreziosiscono le avite case.

Accanto a questo la mostra indica, per le famiglie più note una ricerca araldica delle possibili appartenenze, e ciò ad indirizzare verso conoscenze certe talune decorazioni ancora indecifrate.

Ed ecco perche’, per la stessa casata, sono indicate diverse soluzioni araldiche: ci si è limitati ad una sola parte della configurazione totale di un’arma, allo scudo, per coglierne l’essenzialità di espreessione.

Fonti: 

  • Case e monumenti di Viggiù, Saltro e Clivio
  • Rivista Società Storica Varesina
  • T.Litta-Famiglie Celelebri Italiane,
  • Armorale Ticinese (Biblioteca Cantonale di Losanna),
  • Istituto Araldico di Lugano
  • Archivio Storico Lombardo
  • Archivio Storico Milano
  • Codice Cremossiano
  • Codice Carpani (museo Civico di Como)
  • G.B.Crollalanza – Dizionario Storico Blasonico Italiano
  • Altre

Stemmario di Famiglie Viggiutesi, Saltriesi e Cliviesi

A cura di Gibi Franzi e Giampiero Gattoni

Franzi Gianbattista (GIBI) ( Viggiù 1913 – Varazze 2003)

Figlio appassionato della propria terra d’origine, ha dedicato la maggior parte del proprio tempo libero ad attività di studio e di ricerca sulla storia locale di Viggiù, e sugli artisti viggiutesi. 

Il suo attento e scrupoloso studio si è sempre basato su documentati riscontri storici , reperiti con certosina pazienza e dedizione presso gli archivi parrocchiali e comunali di Viggiù e dei paesi limitrofi, oltre che presso gli Archivi di Stato di Varese, di Milano e di Como.

La sua indagine pluridecennale lo ha portato allo studio sistematico dell’evoluzione della popolazione viggiutese dal 16° secolo ad oggi. Egli ha saputo  realizzare un cospicuo e inedito studio angrafico di Viggiù, Saltrio e Clivio,  a partire dal 1564 fino all’anno 2000, con appendici che approfondiscono la genealogia delle famiglie di antica origine viggiutese. 

Il suo interesse si è andato nel tempo indirizzando soprattutto verso le figure artistiche di Martino Longhi il vecchio  e di Enrico Butti, e ad una paziente ricerca e documentazione fotografica dei lavori degli artisti viggiutesi (picasass) sparsi nelle chiese, nei cimiteri e nelle piazze italiane; lavoro di ricerca rimasto incomputo ed affidato alle mani amiche di Gianpiero Gattoni che ha condiviso la ricerca con Gibi, ed ha continuato il suo lavoro con ammirevole dedizione.

LO STEMMA ARALDICO

E’ noto che lo stemma (o insegna o arma) trae origine dalle bandiere e dai vessilli dei grandi feudatari laici ed ecciesiastici dell’alto Medio Evo. L’uso dello stemma gentilizio risale al sec. XI, all’epoca delle Crociate, quando serviva a distinguere i numerosi signori e le relative schiere combattenti.

Col passare del tempo, più precisamente nel XII secolo, questi emblemi araldici passarono dalle bandiere agli stemmi dei feudatari minori e, da ultimo, di tutte le famiglie nobili e, di conseguenza, sulle armature dei loro guerrieri, in  particolare lo stemma sugli scudi dei soldati dava la possibilità, nel corso di una battaglia, di riunirsi attorno al capo, evitando di disperdersi durante il combattimento, e consentiva ai comandanti di avere in ogni momento della battaglia, una chiara visione della dislocazione delle diverse forze in campo.         

Anche la Chiesa Cristiana ha fatto largo uso dell’araldica: è sufficiente ricordare gli stemmi sui gonfaloni o gli scudi degli ordini religiosi-cavallereschi delle Crociate, oppure gli stemmi sulle facciate delle Basiliche o delle Abbazie, ma anche l’utilizzo dei simboli araldici e religiosi per distinguere le varie gerarchie ecciesiastiche.

Sulla fine del Duecento le casate appartenenti alla nobiltà milanese superavano di gran lunga il numero di duecento, così anche le casate sepriensi e comasche; i “nobiles” di questi secoli erano i diretti discendenti delle antiche famiglie di arimanni, courtisti, gentiles, milites, seniores, che spadroneggiarono nel periodo feudale.

Di queste famiglie non conosciamo le insegne araldiche per la mancanza di un armoriale dell’epoca: dobbiamo accontentanci dell’armoriale quattrocentesco, tenendo presente che le armi gentilizie da allora non subirono che lievi varianti.

Lo stemma araldico famigliare è stato un formidabile mezzo di comunicazione visiva nel corso dei secoli, ed ha mantenuto inalterato il suo fascino e un certo alone di mistero; anche oggigiorno buona parte delle persone, in particolare modo quelle anziane, rimane colpita dalla visione di uno stemma araldico, per la sua forma, i suoi simboli e i suoi colori, rimarcandone non solo l’aspetto visivo-comunicativo, che é tipico della simbologia araldica, ma anche il suo significato storico.

L’uomo vuole essere in grado di identificare se stesso come appartenente a una famiglia, e il proprio simbolo araldico dà il senso di una orgogliosa appartenenza.

Tra le Famiglie viggiutesi, saltriesi e cliviesi esistenti nel ‘400 non si conoscono casate nobili, ma solo famiglie “Dominus”, o “Cavalieri”, quali gli Albuzzi, i Buzzi, i Longhi, i Piazza, gli Argenti, i Giudici, i Marchesi, le quali dovevano rispondere verso i vari feudatari della raccolta delle tasse e dell’invio di uomini per la difesa del feudo; altre famiglie appartenevano al patriziato locale.

Si può determinare la presenza di queste antiche Famiglie sul ternitonio, attraverso le dimore a loro appartenute, nelle quali sono tuttora presenti elementi araldici significativi, dovuti agli artisti dello scalpello, che di queste famiglie facevano parte, e che occuparono parte del loro tempo libero a migliorare le case avite personalizzandole e impreziosendole, in special modo ponendo, come chiave di volta dei portali d’accesso agli antichi cortili, gli scudi in pietra della loro casata.

Non tutte le famiglie di questa zona sono rappresentate in questa mostra con i loro probabili stemmi, ma si spera di identiflcarli e di porli in mostra un prossimo futuro.

Gian Piero Gattoni – Viggiù, 2005


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