Può sembrare strano, ma tra le salse più richieste e diffuse nel mondo c’è il Pesto. Una posizione di rilievo acquisita da circa un ventennio, a scapito di altre, tra cui alcune delle famose e storiche salse madri. Infatti, migliorando non solo nel nostro Paese la qualità della vita, sono ovviamente cambiate anche le abitudini alimentari, espresse con piatti meno grassi e calorici e con tempi di cottura più brevi. Quindi anche le salse, venendo incontro alle attuali esigenze, sono ovviamente mutate, derivando oltre che da basi ittiche da quelle vegetali, privilegiando così il Pesto.
Una salsa fredda, (quasi totalmente vegetale), assurta nel tempo a simbolo di Genova, derivata dall’antica agliata (aggiadda in genovese), la prima delle 6 salse classiche da mortaio risalente al 1200. Alla fine di questo lungo cammino durato poco più di sei secoli, nei primi decenni dell’Ottocento, aggiungendo il basilico e i formaggi all’aglio, l’olio d’oliva e il sale, e togliendo l’aceto, è nato il pesto. Mentre alcuni presunti gastronomi, lo citano addirittura come derivato dal “garum”. La prima ricetta scritta del pesto è certamente curiosa. Giovanni Battista Ratto, raffinato gourmet con vezzo di scrivere, nel suo libro “La Cuciniera genovese” edita a Genova dai fratelli Pagano nel 1865, cita l’impiego di formaggio olandese nel pesto (fortunatamente sostituito)!
A distanza di alcuni anni, Emanuele Rossi, oltre a copiarne la ricetta, ne aggiunge molte altre, e da alle stampe il volume “La vera cuciniera genovese facile ed economica ossia Maniera di preparare e cuocere ogni genere di vivande”. Ma non basta: Emerico Romano Calvetti nel 1910 dando una sua versione, fa una sintesi delle due cuciniere, riportando nella sua opera, la ricetta n° 39 ” la battuta o savore d’aglio”. Infatti, come citato in precedenza, il pesto deriva dall’aggiadda (agliata), una salsa che serviva per conservare i cibi cotti e per coprire gli aromi e sapori di carni troppo frollate (come le frattaglie) o già con inizio di putrefazione.
A Genova quello che è di Genova
Chiariamo definitivamente la querelle su Pesto e Pistou. I provenzali, in particolare i marsigliesi, hanno sempre rivendicato la primogenitura di questa salsa. Niente di più sbagliato. Le prove scritte sono state fornite proprio da un provenzale. Infatti lo chef de Cuisine J.-B. Reboul, scrisse e pubblicò nel 1889 “La Cuisinière Provençale”, un’opera definita in Francia “la Bibbia” della gastronomia della Provenza, lodata anche dal grande Frédéric Mistral. Nella terza tiratura della venticinquesima edizione (1991) de “La Cuisinière Provençale”, a pagina 63, terza riga, si legge: 16 (numero della ricetta). Soupe au Pistou. – Cette soupe, d’origine genoise…. Che dire di più? Bastava leggere. Per chi vuole documentarsi: La Cuisiniere Provençale di J.-B. Reboul – Nouvelle Edition (Troisième tirage de la 25e Edition – Octobre 1991) – P. Tacussel Editeur – Marseille – 90 F.
La ricetta del Pesto
Dosi e ingredienti per 6 persone: 10 folti mazzi di basilico genovese DOP (di Prà o d’altre località del Ponente); 3 spicchi d’aglio di Vessalico (comune in provincia d’Imperia); 35 gr di pinoli di Pisa prima scelta; 50 gr di Parmigiano Reggiano Dop di 24 mesi grattugiato; 10 gr di Pecorino Sardo Dop di 15 mesi grattugiato; 2 gr di sale grosso marino; 7-8 cl di olio extravergine Riviera Ligure Dop (dolce e maturo).
Preparazione: togliere le foglie di basilico dalle piantine, lavarle e farle asciugare su carta assorbente o nella centrifuga, facendo attenzione a non schiacciarle. Porre l’aglio già mondato nel mortaio, pestarlo col pestello di bosso o di frassino fin tanto da ridurlo in poltiglia e, così, anche per i pinoli. Unire il basilico e il sale e schiacciare – senza più pestare – a lungo roteando, sino ad ottenere un composto omogeneo. Aggiungere i formaggi e, sempre rimestando, incorporare l’olio versato a filo. Se il pesto fosse troppo denso, diluirlo con un cucchiaio d’acqua calda della cottura della pasta.
Caratterizza diversi primi piatti di pasta fresca e non della cucina genovese e ligure, come trenette, lasagne, gnocchi, troffiette e, non ultimo, il classico minestrone.
Avvertenze: le foglie, necessariamente asciutte, non devono minimamente essere stropicciate, perché le vescicolette contenenti gli oli essenziali poste sulla pagina superiore della foglia, rompendosi, provocano un’ossidazione del colore e degli aromi, rendendo prima il pesto verde sbiadito-marrone o verde scuro, e poi con note verde-nero, dall’aroma solamente erbaceo.
Il pesto fatto nel frullino elettrico, a parte che viene una salsa emulsionata simile ad una crema, scaldandosi per l’alta velocità si ossida in parte anch’esso e fa quadruplicare l’effetto piccante dell’aglio. Il mortaio era e deve rimanere un attrezzo di cucina, poiché l’aglio pestato nel mortaio non si scalda; inoltre il sale messo assieme alle foglie di basilico, sotto l’azione roteante del pestello, le sminuzza finemente e, essendo il sale igroscopico, ne rallenta l’ossidazione. I pinoli, considerandoli un’aggiunta fatta verso la fine del 1800, possono essere anche facoltativi.
Obbligatorio invece l’aglio, che trova perfetta armonia col basilico genovese. Chi lo toglie (Dio lo punisca) abbia l’onestà di non chiamarlo più pesto, ma semmai salsa al basilico. Infine, perché l’olio deve essere maturo e dolce? Semplice: l’olio oltre a far da solvente per le sostanze aromatiche, conferisce il perfetto amalgama, esaltando l’aroma del basilico ed attenuando il piccante dell’aglio.
L’abbinamento col vino
I primi piatti col pesto esigono, essendo una salsa fredda e quasi totalmente vegetale, vini bianchi giovani, profumati, secchi ma morbidi e freschi, delicatamente caldi, pieni e continui come il Riviera Ligure di Ponente Pigato e il Collio Sauvignon (se francese, un Sancerre) serviti a 10-11°c in calici medi con stelo alto. Un vero e proprio matrimonio d’amore: l’ampio profumo e la morbidezza del vino, esaltano e contengono rispettivamente, l’aromaticità del basilico e l’imperiosità dell’aglio. Se a qualcuno viene in mente di abbinarci un vino rosso, lasci perdere. L’allicina contenuta nell’aglio (solfuro di zolfo che conferisce all’aglio l’aromaticità e il piccante) e gli oli essenziali del basilico a contatto dei polifenoli del vino, conferiscono un sapore amaro e nette percezioni sgradevoli di metallico e rancido.
Pesto & Salute
Le allarmistiche campagne di stampa o da tv sulla presunta tossicità del basilico che, addirittura provochi il cancro, risalgono addirittura a 5-6 anni fa. Periodicamente sono diffuse, lasciando impauriti o sgomenti i consumatori generici di pesto, ma assolutamente tranquilli genovesi e liguri. Anzi, il bailamme suscitato nella prima settimana di novembre, lascia perplessità e sospetti. Ora che la Regione Liguria, attraverso il suo Assessorato per le politiche all’agricoltura con a capo Piero Gilardino, è riuscita finalmente ad ottenere la DOP per il Basilico genovese, scoppiano come bombe, notizie nefaste sul basilico. Perché se tali ricerche hanno concreto valore scientifico, non sono state inoltrate tempestivamente al Ministero della Sanità?
E’ vero che il basilico nella prima settimana di vita contiene tracce di metil-eugenolo (lo difendono da vari insetti), la sostanza accusata di provocare il cancro, ma è altrettanto vero che al momento della raccolta del basilico non ce n’è più, siccome le piantine di basilico sono estirpate dopo circa tre-quattro settimane e dell’altezza nettamente superiore ai 10 centimetri. Lo stesso prof. Veronesi, ex ministro della Sanità, ha chiaramente detto che il pesto non solo gli piace, ma fa anche bene.
Il Pesto nell’economia ligure
Ma a nostro parere, al di fuori delle polemiche sterili, la questione che ha sollevato il polverone, potrebbe essere di natura commerciale. Il miglior pesto si sa, è prodotto con le foglie di giovani piantine coltivate in Liguria, poiché gli oli essenziali che caratterizzano l’afrore del basilico (in primis estragolo, linalolo ed eugenolo) sono nella giusta proporzione e quantità, per le particolari condizioni pedoclimatiche. Se raccolte più tardi, dopo 60 giorni (quindi con foglie grandi), la qualità degli aromi scema, essendo penetrante, pungente con note vegetali all’olfatto, e amare e coriacee all’assaggio.
Risultato: oltre a costare sensibilmente meno di quelle di giovani piantine, daranno sicuramente un pesto ossidato e disarmonico. Altre considerazioni sono ancor più importanti: in Liguria la coltivazione del basilico coltivato in pieno campo e in serra, si aggira sui 420 ettari con una produzione annua, che è di circa 8 milioni di euri. Attualmente un kg di foglie giovani di basilico genovese di Prà va dai 15 euri d’estate ai 20-22 euri d’inverno. Mentre il Pesto, quello buono, fresco (dura un mese conservato a +2-4°c in frigo e col 35-40% di basilico) ha un costo di base di ben 15 euri il chilo.
Per questo, la quasi totalità del basilico utilizzato da grandi aziende, proviene dall’Argentina, Cina, Tunisia, Israele, Cile ecc. Ultima considerazione, basta pensare all’indotto economico che potrebbe derivare dal Pesto DOP. Chiunque produrrà del Pesto Genovese DOP, dovrà necessariamente acquistare il basilico genovese DOP in Liguria. Non solo. Oltre a rivalutare e conservare i territori delle aree di coltivazione, può essere la testa di ponte per tutti gli altri prodotti agricoli tipici della regione, poiché sarebbe l’unica salsa al mondo con ben quattro DOP.