Insegnare o educare?
Si può nel tiro con l’arco insegnare ed educare contemporaneamente?
Vediamo l’etimologia dei due termini: insegnare deriva da in-signum, cioè mettere un segno nell’altro, mentre educare deriva da e-ducere, cioè tirare fuori dall’altro.
Quindi sembrano termini uno il contrario dell’altro: mettere contro togliere, infilare contro estrarre.
Lasciare un segno si può fare anche con un foglio di carta, una pietra, una tavola di legno, ma si può dalla carta, dalla pietra, dal legno tirare fuori qualcosa?
Se lascio un segno sul foglio di carta, significa che ho insegnato qualcosa al foglio di carta? La risposta è si, senza dubbio alcuno. Il foglio di carta porterà per sempre il mio segno, ma il foglio di carta sa cosa significa il segno che ho impresso?
E qui la risposta è no, senza dubbio.
È come il 1789, la nascita della rivoluzione francese: è un numero che avete in testa, ma vi ricordate altrettanto chiaramente tutti gli avvenimenti della rivoluzione francese e della sua importanza nel mondo occidentale?
Quindi è sufficiente insegnare, cioè lasciare un segno nell’allievo? No: devo fare anche in modo che l’allievo faccia suo il segno, ne comprenda il significato, sia in grado di esprimere il concetto legato al segno che gli ho lasciato, quindi devo tirare fuori dall’allievo la capacità di “capire” il segno.
Io so che tutti avete avuto almeno un professore o maestro che ricordate con particolare piacere e affetto, un insegnante che, probabilmente, ha avuto la sua influenza sul vostro percorso professionale, un insegnante che vi fatto amare la sua materia, che vi ha invogliato ad approfondire i suoi insegnamenti, anche al di fuori dei testi scolastici.
Invece avete avuto una serie di insegnanti dei quali non ricordate né il nome né, tanto meno, il viso.
E perché uno si e gli altri no? Perché il professore che ricordate con piacere è quello che vi ha insegnato la sua materia con gioia, ed è riuscito a trasmettervi la gioia che provava insegnandovi e così vi ha educato, ha tirato fuori quell’entusiasmo che era celato dentro di voi, ma che, con le altre materie, restava sopito e nascosto.
Gli altri vi hanno insegnato nozioni con la paura dell’interrogazione e della bocciatura, e se li ricordate, ricordate anche la paura, e il vostro cervello, alla paura risponde: scappa. Quindi meglio non ricordare.
Quindi come insegnare ed educare? Insegnando con gioia e trasmettendo la vostra gioia ai vostri allievi.
E non sarà necessario, come dicono molti, che i vostri allievi si divertano con giochini vari, perché la gioia è superiore al divertimento, anche se è un sentimento di alta intensità e di breve durata, è ricordata dal nostro cervello e ci stimola la necessità di averne ancora e ancora.
E se proviamo gioia ad insegnare, non ci verrà in mente di dire al nostro allievo che ha sbagliato, perché sbagliare porta dolore, e il nostro cervello, se prova dolore, ci dice di scappare, ma diremo di farlo meglio, spiegandogli con l’esempio.
Noi vogliamo che il cervello dell’allievo gli dica “ancora”, “ne voglio ancora” e così il nostro allievo lascerà il campo di tiro di malavoglia e non vedrà l’ora di tornare.
Ma tutto ciò dipende solo da noi: dalla gioia che proviamo insegnando, e, così facendo, troveremo sul nostro cammino gratificazioni a non finire.